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Quanto siete disposti a rischiare per la conoscenza?


Siamo dèi o caporali? Ecco il giusto prezzo per chi non si fa dominare.


Partendo dal presupposto che conoscenza, astuzia, libertà, sono strettamente collegati, il mito di Sisifo tende a racchiudere un po' quanto l’astuzia e la ricerca della libertà non sono mai sciocche. La brama di libertà e la sete di conoscenza sono costate a Sisifo una eternità di pene.

Vi siete sentiti dire mai: “Parlare con te è come fare le fatiche di Sisifo?”

Ma chi era costui? Da dove nasce questo detto?


Oggi vi voglio raccontare la sua storia, perché Sisifo è uno di quei miti che desta tenerezza e simpatia nonostante non fosse certo uno stinco di santo, perché diciamocelo fra noi, era un testardo che un pochino ci somiglia o almeno a quelli facenti parte della fascia di testoni, che tanto si sbattono per il raggiungimento di qualcosa che però sembra sempre sfuggire di mano,

riportandoli costantemente al punto di partenza.

Almeno a me questi giri a loop accadono spesso, e sono molto solidale con il tipo in questione.

Quando da ragazza lessi questo libro (ossia avevo più o meno l’età di Sisifo quando commise il fattaccio), me ne innamorai follemente. Gli aspetti di lui che mi piacquero furono molteplici.

Ma iniziamo con la sua leggenda mitologica.




Sisifo era il primo re di Efira, oggi nota come Corinto.

Sebbene fosse un Re capace che rese molto fiorente la sua città, nel tempo libero si allenava a fare l’alternativo.

Fu un tiranno senza scrupoli che per dissetare la sua vanità, sedusse sua nipote e uccise tutti i suoi ospiti solo per vanità di potere.

Questa violazione della sacra tradizione dell'ospitalità fece infuriare gli dei.

Sisifo avrebbe potuto ancora evitare di essere punito, se non fosse stato che se la tirava un po' troppo e non aveva calcolato le conseguenze.

La sua sconsiderata sicurezza gli fece dimenticare che viveva ai tempi degli dei greci, non nei nostri tempi, dove magari per ripicca gli dei ti scatenano pandemie e se la prendono con gente a random.

Lì c’erano gli dei seri, i professionisti che non sbagliavano un colpo!

Erano più rodati, oggi sono un po' arrugginiti.

I problemi iniziarono quando Zeus rapì la ninfa Egina portandola via sotto forma di un'enorme aquila.

Il padre di Egina, il dio dei fiumi Asopo, seguì le loro tracce fino a Efira dove incontrò Sisifo.



In cambio di una fonte d'acqua in città, il re Sisifo, mostrò ad Asopo la direzione che aveva preso Zeus con la ragazza.

Quando Zeus lo scoprì, si infuriò talmente che ordinò a Tanato, cioè alla morte, di incatenare Sisifo negli inferi perché non causasse più problemi. “Lasciatelo lì che fa meno danni!” Ordinò.

Un po' come quando i genitori da piccoli ci mettevano in punizione e noi riuscivano comunque ad arginarla con mille stratagemmi.

Sisifo infatti fu all'altezza della sua reputazione.


Quando stava per essere imprigionato, chiese a Tanato di mostrargli come funzionassero le catene, e con questa genialata, così lo imprigionò velocemente prima di fuggirsene di nuovo tra i vivi.

Con Tanato imprigionato, nessuno poteva più morire, e il mondo cadde nel caos.


Le cose tornarono alla normalità quando il dio della guerra Ares, annoiato dalle troppe guerre, (pensate che ormai era diventato un vero maestro di Risiko), liberò Tanato dalle catene.


A Sisifo cominciò a tremare l’Ade sotto i piedi, e capì che si avvicinava la resa dei conti.

Ma siccome era un testone provò un altro asso nella manica.

Prima di morire, chiese a sua moglie Merope di gettare il suo corpo nella pubblica piazza, proprio in un punto dove l'acqua lo avrebbe trasportato sulle rive del fiume Stige. Così fu e tornò tra i morti.


Sisifo il furbone, andò di corsa da Persefone, regina dell'oltretomba, e si lamentò dell'empietà di sua moglie che non gli aveva dato una degna sepoltura! Apriti cielo!

Persefone gli diede il permesso di tornare tra i vivi e punire Merope, a condizione però, che alla fine facesse ritorno.


Naturalmente, Sisifo non mantenne la promessa e scampò alla morte per la seconda volta, ingannando di nuovo gli dei!

Purtroppo per lui però stavolta Ermes andò personalmente a trascinare Sisifo di nuovo nell'Ade, e dovette pagare care le sue inutili gincane attorno alla morte.

Il re aveva creduto di essere più furbo degli dei, ma Zeus avrebbe riso per ultimo.

La punizione di Sisifo sarebbe stata semplice:

far rotolare un enorme e pesante masso su per una montagna.

Portarlo con forza in cima ad un’arduo pendio, ma non appena però la cima si fosse avvicinata, sarebbe rotolato di nuovo giù, costringendo Sisifo ad iniziare tutto da capo, ancora e ancora, per l‘eternità...


Un po' come chi cerca continuamente di farsi notare dal proprio capo facendo l’impossibile, ma lui ti vede più come una fotocopiatrice e perennemente non ti restituisce segni che si è accorto della tua esistenza corporea.


Alla leggenda di Sisifo sono state date varie letture, sia in tema filosofico che sociologico.

Camus lo interpreta nel suo saggio ricollocandolo nella “filosofia dell’assurdo”.

L’autore francese dipana una matassa lastricata di vite assurde, che vivono nella speranza che cambi qualcosa. Ma ogni giorno che passa, è un giorno in meno di una vita che resta sempre bloccata nel nulla. Ogni giorno è una sentenza che accompagna inevitabilmente al suicidio.

Questo racconto di vite impossibili e sofferenti che per quanto si faccia non cambiano e restano gattopardescamente come sono.




Ma il senso qual è?

Ribellarsi.

Puntare i piedi.

Lottare per il diritto alla vita, non alla sopravvivenza, fare in modo che anche gli dei cambino il loro umore, le loro sentenze.

Usare strategie diverse fino a quando quel masso prima o poi, rimanga in equilibrio sulla cima e noi con esso.

Un ultimo insegnamento ci lascia Sisifo: evitare la seduzione tentatrice del suicidio.

Lui visse sfidando la morte, addirittura incatenandola e non concedendosi in maniera remissiva ad essa.

Ecco, combattiamo Tanato fino all’ultima ora della nostra vita, certo alla fine perderemo come tutti, ma sicuramente non si dimenticherà di noi.






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